Ancora un volta ha vinto il Real Madrid. Ancora una volta ha vinto Carlo Ancelotti. E non può essere un caso o solo fortuna. I Blancos hanno battuto ieri sera il Borussia Dortmund portando a casa la Champions League numero 15 su 18 finali giocate. Piaccia o no, gli spagnoli sono i padroni quasi incontrastati di questo torneo. Per l’attuale tecnico delle Merengues, invece, si tratta del 5° successo da allenatore nella “coppa dalle grandi orecchie”, che si aggiunge ai 2 trofei vinti da calciatore. Sono passati ben 21 anni da quando nel 2003 Carlo Ancelotti vinceva la sua prima coppa campioni da tecnico e da allora il calcio è cambiato molto, si dice, si è evoluto, è diventato più offensivo e spettacolare. Eppure “Carletto”, quello che non si è aggiornato, che non si è evoluto, è sempre lì ad alzare i trofei.
Riparte la diatriba tra giochisti e risultatisti
I numeri del tecnico italiano sono a dir poco impressionanti e in pochi riusciranno a ripetere le imprese da lui compiute. Stiamo parlando, infatti, di 209 panchine in Champions League, 6 finali disputate, 5 vinte. Eppure, subito dopo la vittoria ottenuta nella notte di Wembley, si è riaperto il dibattito tra giochisti e risultatisti. Per i primi, ovviamente, Ancelotti è solo fortunato, perché soffre sempre eppure la sfanga. Perché le sue squadre si basano prevalentemente sullo sfruttamento delle grandi individualità che ha. Perché ha vinto le Champions solo con Milan e Real Madrid, mentre con le altre squadre che ha allenato… Avete dimenticato cosa ha fatto con Everton e Napoli? Sostengono i suoi detrattori… Guardiola ha vinto la Champions con il bel gioco, così come Klopp…
Ancelotti: 27 trofei, impossibile sia solo fortuna
Tutto vero, ma non mi risulta che i due allenatori succitati abbiano vinto la Champions con Napoli ed Everton. È troppo facile narrare il calcio in questo modo, perché non avremo mai la controprova. Quando Guardiola e Klopp hanno vinto una Champions League con una squadra del livello di quel Napoli o di quell’Everton? Non lo sappiamo, perché non è mai successo. La storia dice che nella migliore delle ipotesi, solo 1 Champions su 20 viene vinta da un’outsider, mentre nella maggior parte dei casi ad affermarsi è una big, quale che sia il gioco espresso. Ancelotti ha collezionato nella sua carriera in totale 27 trofei e merita il massimo del rispetto, lo stesso che gli riconoscono i suoi attuali giocatori, gli ex, i colleghi e la quasi totalità degli addetti ai lavori.
O qualcuno pensa che sia una passeggiata entrare nello spogliatoio del Real Madrid, uno dei club più difficili da gestire al mondo, e farsi seguire da campioni assoluti come Modric, Kroos, Ronaldo, Benzema, Bale, Zidane e compagnia cantante? Gli stessi allenatori “giochisti”, non fanno altro che ripetere ad ogni occasione l’importanza dei giocatori, e di quelli più bravi su tutti, per la conquista dei trofei. “Adoro mia madre e mio nonno, ma con loro non avrei vinto la Champions. Il segreto dei miei successi? Si chiamano Messi, Aguero, Haaland…”: parola di Pep Guardiola, il più giochista di tutti. Al solito, la conclusione è sempre la stessa: un modo di giocare può piacere o non piacere, può essere esteticamente più gradevole o meno gradevole, ma la strategia adottata, bella o brutta che sia, se porta al risultato vuol dire che è la strategia giusta. Ed evidentemente, Ancelotti poche volte nella sua carriera ha sbagliato strategia. Certo la fortuna rappresenta una componente, soprattutto nelle coppe, ma la fortuna nella maggior parte dei casi aiuta quelli bravi.