Si è conclusa ieri la terza tre giorni stagionale delle coppe europee e il bilancio per le italiane è di 4 vittorie, 2 sconfitte e un pareggio. Hanno vinto in Champions League Inter e Napoli, rispettivamente contro Salisburgo e, soffrendo, contro il rispettabile ma modesto Union Berlino, mentre Lazio e Milan hanno subito sonore lezioni da Feyenoord e Paris Saint Germain. In Europa League, fa tutto da sola l’Atalanta, che si fa riprendere sul 2-2 da uno Sturm Graz ridotto in 10 uomini, mentre la Roma ha vita facile contro lo Slavia Praga. Vittoria tennistica per la Fiorentina di Italiano sul Cukaricki.
Sarri e Pioli “belgiochisti” o no?
A fare rumore sono soprattutto i KO di Lazio e Milan, che nelle settimane passate sono state spesso elogiate per la loro proposta di gioco. Maurizio Sarri e Stefano Pioli sono considerati quasi unanimemente dalla critica due allenatori che “si aggiornano” e che non speculano sull’andamento delle gare per arrivare al risultato. Eppure, all’indomani delle loro sconfitte ho letto tante critiche proprio sulle rispettive scelte tattiche. Il tecnico biancoceleste, ma molto di più quello rossonero, vengono accusati (dai medesimi osservatori) di non aver avuto un approccio europeo alle gare, di essere monocordi, ovvero di avere solo un piano A e non prevedere alternative se questo non funzioni. Insomma, i due tecnici “non cambiano mai”, limitandosi ad effettuare solo sostituzioni uomo su uomo, posizione su posizione.
È una storia vecchia come il giuoco del calcio: alla fine i giudizi sono sempre condizionati dai risultati. Se vinci contro il Paris Saint Germain hai un gioco europeo, se perdi sei portatore di una proposta retrograda, superata, che non poterà mai a niente. È un po’ come la storia dei giovani, ovvero che debbano giocare sempre e a prescindere se si vuole competere con le altre big europee. Poi vai a vedere i risultati e l’unica squadra che al momento se la può giocare ad ali livelli con le big delle altre nazioni è l’Inter, ovvero una formazione dall’età media alta e che per giunta viene accusata di praticare un calcio “sparagnino”.
Il calcio italiano è in crisi, chi nega è complice
Lo ritengo irrispettoso in primis per Simone Inzaghi, che sta ottenendo grandi risultati, ma più in generale per il movimento calcistico italiano. Non c’è un solo modo per vincere le partite e comunque alla fine la differenza la fanno principalmente gli interpreti. Ovvio che è importante costruire attorno a loro un contesto di gioco valido e in grado di esaltarne le qualità, ma in questo momento dobbiamo essere consapevoli del fatto che il calcio italiano sta vivendo una crisi che non gli consente di giocarsela alla pari soprattutto con i grossi calibri della Premier, le big spagnole, il Bayern o il PSG.
E puntare sui giovani a prescindere, non significa che in automatico a breve avremo nelle squadre nostrane tanti Bellingham e Haaland. Non è accettabile questa narrazione secondo cui un allenatore che vince 6-0 contro una modesta e sconosciuta squadra serba sia il nuovo vate del calcio e poi torni ad essere uno come tanti se perde in casa contro una medio-piccola del nostro campionato. C’è del tendenzioso in tutto ciò e non si fa il bene del nostro movimento calcistico con questo “giochismo” e “risultatismo” a targhe alterne. È ovvio che se non hai grandi risorse a disposizione, devi sopperire alla mancanza di qualità con corsa e idee, ma alla fine, nel 99% dei casi a portare a casa i trofei sono sempre gli stessi, ovvero quelli che hanno a disposizione i calciatori più pagati e più forti. Il resto sono eccezioni che confermano la regola.
I nodi vengono al pettine
Limitandoci alla competizione continentale regina, a parte l’Inter, che ha innalzato la propria consapevolezza con la finale di Champions dello scorso anno, tutte le altre stanno faticando per motivi fin troppo evidenti. Il Napoli lo scorso anno ha overperformato, in una stagione unica e irripetibile. Il Milan non è vero che è in crescita costante da diversi anni, perché dopo lo scudetto nella passata stagione è sul campo arrivato 5°, accedendo in Champions League e non in Europa League solo per la penalizzazione della Juventus. La Lazio, invece, ha grossi limiti di rosa, soprattutto nel ruolo di prima punta e a centrocampo (per via della cessione di Milinkovic). Miracoli non se ne possono fare e continuare a raccontare la favoletta del gioco, non porterà da nessuna parte. Il calcio italiano tornerà a dominare in Europa, quando la Serie A potrà permettersi quei campioni che oggi giocano altrove.