Hervé Barmasse, alpinista italiano, nato a Valtournenche, in Val d’Aosta ha compiuto una grande impresa e un record: il primo concatenamento e la traversata integrale della vette principali del massiccio del Gran Sasso d’Italia. Il record e l’impresa entrano nella storia dell’alpinismo e tutto questo compiuto in solitaria e soprattutto nel duro periodo invernale.
Proprio il periodo ha reso il viaggio non poco faticoso, ma Barnasse ha scelto l’inverno come parte del suo DNA: “Me lo aspettavo meno faticoso, ma con la neve abbondante, tra torri di roccia e canali, spesso sprofondavo sino alla vita” ha detto Barmasse. “Però è così che mi ero immaginato questo viaggio. La dimensione avventura nasce dall’intuito e dalla creatività dell’alpinista e anche dalla sua onestà”. Inoltre, Hervé Barmasse proviene da una famiglia di guide alpine da quattro generazioni e ha legato il suo nome a numerose prime ascensioni in tutto il mondo, spesso affrontate in solitaria.
Hervè, cresciuto ai piedi del monte Cervino, è anche uno scrittore e regista di film di montagna, avendo realizzato documentari come “Linea continua” e “Non così lontano”. Partecipa a conferenze e lectures per condividere la sua passione per la montagna e l’alpinismo, sottolineando l’importanza del rispetto per l’ambiente. Hervé è diventato maestro di sci nel 1996 e di snowboard nel 1997, ed è diventato guida alpina del Cervino nel 2000 e istruttore nazionale delle guide alpine nel 2007.
Hervè Barmasse: la montagna toglie per avere
Hervè Barmasse ha condiviso le emozioni di questa impresa sul suo profilo Instagram, ecco le sue bellissime parole:
“Gran Sasso d’Italia, 67 chilometri, 7200 metri di dislivello positivo in autonomia tra creste e pareti, con ramponi e sci per concludere il primo concatenamento e la prima traversata integrale di tutte le vette principali di questo massiccio, da solo e in inverno. Ma questi… sono solo dettagli.
In verità tutto è iniziato due anni prima, quando, scalando da solo lo spigolo sud sud-est del Gran Sasso il mio sguardo e il mio cuore si riempivano di bellezza. È in quel momento che è nato il desiderio di pensare a una “sfida” sportiva che mi portasse ad abbracciare queste montagne. La scelta dell’inverno, e della solitudine invece fanno parte del mio DNA. Se desidero un’avventura devo mettermi nelle condizioni ideali perché questo accada. L’anno passato, ad esempio, non c’era neve e se avessi provato, le cose sarebbero state più facili, ma avrei potuto parlare di ascensione invernale? Il calendario oggi non fa più la differenza… La nostra etica e i nostri ideali si.
Nel mio modo di vivere la montagna esiste anche un’altra regola, il “togliere per avere”. Di fatto, sino alla sera prima, non mi ero informato e non conoscevo quasi nulla di cosa sarei andato a fare, ma avevo un’idea e un sogno e questo mi bastava. Il mio alpinismo prima di tutto deve emozionarmi e regalarmi la possibilità di vivere nuove esperienze, e quest’ultima, avrà per sempre un posto speciale. E a proposito di cose speciali, o meglio di persone speciali… Gli incontri avuti negli anni durante le mie conferenze sulla dorsale appenninica e nei mesi scorsi a L’Aquila con Luca Cococcetta, il Lupo (Pierluigi Parisse), Luca e Roberto Parisse, Igor Antonelli e le molte persone incontrate in Abruzzo meritano la mia più sincera gratitudine. Senza di loro non avrei ritrovato l’autenticità di chi ama la montagna al di là dei nomi e dei confini”.