Si è conclusa ieri sera la prima fase della Nations League per la nazionale italiana di Luciano Spalletti, che ha chiuso al 2° posto nel gruppo 2 della Lega A. Esattamente come avevano vinto in Francia per 1-3, gli azzurri hanno ceduto alla nazionale di Didier Deschamps con lo stesso punteggio al Meazza, dicendo addio alla possibilità di conquistare la vetta del raggruppamento, evitando alcune tra le più forti nazionali del Continente. Sarebbe bastato un altro gol all’Italia, o subirne uno in meno per evitare di essere scavalcati in extremis, ma indubbiamente stavolta i transalpini sono stati superiori in tutto.
Cosa significa calcio “nuovo”?
Il calcio “nuovo” (personalmente non so cosa si intenda con questo attributo) di cui si è parlato nelle ultime uscite degli azzurri non è stato sufficiente per ottenere un risultato positivo e chiudere nel migliore dei modi la prima parte di un torneo che per quel che mi riguarda ha lo stesso valore delle partite amichevoli. Lo ha detto chiaramente anche lo stesso Deschamps nella conferenza stampa della vigilia: la Nations League consente ai ct di provare giovani, nuove soluzioni, ma quello che contano sono le grandi competizioni, ovvero gli Europei e i Mondiali.
Mi pare un discorso molto saggio da parte di un ex giocatore e un allenatore che nella sua carriera ha vinto praticamente tutto quello che c’era da vincere. L’Italia non deve assolutamente farsi abbindolare da chi urla durante un gol degli azzurri o che utilizza tanti superlativi per raccontare delle amichevoli. Così come non deve assolutamente deprimersi quando un risultato non arriva. Oggettivamente, questa generazione non mi pare abbia grandi individualità: tanti buoni giocatori, come i vari Barella, Cambiaso, Bastoni… che possono diventare in futuro grandi giocatori, ma di campioni onestamente non se ne vedono tanti.
Niente fenomeni, l’Italia ha molto da lavorare
I Baggio, Del Piero, Vieri, Inzaghi, Pirlo, Gattuso, Maldini, Nesta, Cannavaro, Buffon, solo per citarne alcuni, in questo momento non ci sono. Inevitabile dover dunque puntare sul collettivo, sulla freschezza atletica e sulla spensieratezza, anche se poi nelle grandi competizioni quello che conta è soprattutto la caratura internazionale, in termini di forza mentale e presenze nelle coppe. Al momento questo è il punto debole della nazionale italiana, che viene da un Europeo deludente e deve ricostruirsi un’identità, non in Nations League, ma nelle prossime qualificazioni ai Mondiali.
Imperativo andare ai Mondiali
L’Italia non ha partecipato alle ultime due edizioni della Coppa del Mondo e non può permettersi di rimanere fuori per 12 anni di fila. Sarà dunque allora che si valuterà il lavoro di Luciano Spalletti e i suoi, visto che queste amichevoli non possono assolutamente fare testo. Da queste gare deve uscire solo una scrematura in vista delle gare che contano: il commissario tecnico ne sta provando diversi, tra grandi ritorni, come quello di Kean e Rovella, ai vari nuovi Daniel Maldini, Comuzzo, Savona… L’impressione è che con le nazionali medio-piccole la coralità dell’Italia faccia la differenza, mentre contro le big ovviamente può essere una lotteria: se non si trova la partita della vita, difficilmente si possono vincere duelli con giocatori come Rabiot, giusto per citarne uno, che ha un numero di gare internazionali superiore a tutti i convocati di Spalletti.
In questo momento ci vuole solo tanto equilibrio, avere pazienza e non fare l’errore tipico del movimento calcistico italico, ovvero quello di non riconoscere i punti di forza e al contempo i limiti, che aiutano a lavorare con l’atteggiamento di chi non deve mai sentirsi arrivato e ha solo l’obiettivo di migliorare step by step.