La Superlega esiste già e si chiama Premier League. Lo ha detto senza mezzi termini qualche giorno fa il presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Lo dicono chiaramente i risultati delle squadre inglesi in Europa, che continuano ad arrivare in fondo alle competizioni continentali. Dopo Manchester City-Chelsea dello scorso anno, c’è anche in questa stagione la possibilità di assistere ad una finale di Champions League tutta britannica con il Liverpool che ha già staccato il pass per l’ultimo atto di Parigi e il Manchester city che ne va a caccia questa sera partendo dal 4-3 dell’andata contro il Real Madrid.
Anche se i Citizens allenati da Pep Guardiola non dovessero centrare l’obiettivo, cambierebbe poco nel nostro discorso. Anche quest’anno, infatti, sono state 4 le squadre inglesi nelle semifinali delle tre coppe europee: due in Champions League (le succitate), una in Europa League (West Ham) e una in Conference League (il Leicester che domani sera affronterà la Roma). Ovviamente, l’incidenza è superiore nella coppa dalle grandi orecchie, che è quella in cui il livello è più alto e alla fine, piaccia o non piaccia, in fondo arrivano quelle che hanno le rose più forti e costose.
Il calcio del popolo non esiste
Il Villarreal è stata la favola di questa edizione, in grado di eliminare Juventus e Bayern Monaco e ieri sera di mettere paura al Liverpool. Il Real è la conferma, invece, che quando hai campioni, seppur stagionati, nelle partite secche ti incartano spesso e volentieri. Per il resto, anche questa Champions League ha confermato che 9 volte su 10 vince la squadra più attrezzata e più ricca. Non c’è nessun calcio del popolo, nessuna possibilità che “il povero” gabbi il ricco sognando di arrivare sul tetto d’Europa. Se e quando succederà, sarà un evento straordinario che non si ripeterà per tanto tempo.
Al momento, è impossibile ad esempio per i club italiani competere con quelli inglesi, ma spesso neanche con quelli di altri campionati un tempo “inferiori”. Lo abbiamo visto anche nel girone eliminatorio di Champions, in cui il Milan capolista della Serie A ha chiuso all’ultimo posto contro una inglese, una spagnola e una portoghese. Dai diritti televisivi la Premier League incassa più del triplo del nostro massimo campionato. Hanno stadi e strutture a misura di famiglia che incentivano la partecipazione durante tutta la settimana, attirando così sponsor tecnici e di maglia che pagano molto di più di quanto versano alle compagini nostrane.
Le squadre di Premier le più ricche
Siamo indietro anni luce su tutto, a parte qualche eccezione, e chi dice che per compensare basta avere una “proposta di gioco più europea” dice una castroneria senza fine. Lo conferma il cammino dell’Atalanta, che ha fatto il suo massimo, ma mai potrà davvero competere con le sue risorse per vincere la Champions League. Il prodotto calcio italiano è inferiore in tutto, non ci sono altri discorsi da fare. Basta guardare le rose di Manchester City e Liverpool, gli ingaggi che possono permettersi di pagare, i soldi che possono dare a due degli allenatori più pagati al mondo, per capire che al momento sono inarrivabili, se non con qualche colpo di fortuna.
La Superlega è la Premier League ed è anche per questo che, alle prime pressioni, i primi club a lasciare il nuovo torneo promosso da Juventus, Barcellona e Real Madrid siano stati proprio quelli britannici. Come puoi competere con un campionato in cui una squadra che retrocede e risale nel massimo campionato per due volte di fila ottiene, solo di premi, quasi 400 milioni (avete mai letto del caso del Fulham)? Non c’è nulla di cui arrabbiarsi del resto, perché prima del 2006 ciò che sta facendo la Premier lo faceva la Serie A, con ingaggi astronomici e tutti i campioni in giro per il globo che preferivano venire a giocare nel nostro Paese. L’importante è capirsi: è business e vince chi è più bravo a farlo. Il popolo e i tifosi, di cui si riempie la bocca qualcuno, lasciamoli stare. E rispettiamoli, per piacere.