Tante chiacchiere per il gol della Lazio
con un avversario a terra.
Ma nel calcio dove TUTTI
provano a vincere con ogni mezzo,
davvero ha senso pretendere
un comportamento da galateo?
Ma insomma, alla fine, Felipe Anderson doveva mettere la palla fuori e rinunciare a un’azione di attacco, perché un giocatore avversario era a terra? Era giusto fermare la propria azione per fare una cortesia agli avversari? Dopo Lazio-Inter si è parlato solo di questo, ci si è insultati via social, dopo un episodio che ha stimolato scintille e accenno di rissa in campo.
Allora, andiamo a fare chiarezza.
La Lazio NON DOVEVA mettere fuori il pallone per regolamento: decide l’arbitro se interrompere il gioco, e normalmente lo fa quando reputa preoccupanti le condizioni fisiche (colpo alla testa?) del giocatore a terra.
La Lazio POTEVA mettere fuori il pallone per fairplay, per consuetudine, come atto di grande sportività. Certo che poteva.
Ma se il punto è questo, è strano che si dia per scontato. Nel calcio, regolarmente si cerca di approfittare di ogni vantaggio. Si accentuano le cadute nell’area avversaria per procurarsi un rigore, si rotola a terra anche dopo contatti lievi, ci si copre il viso mimando dolore anche dopo aver ricevuto una carezza
Il calcio è questo, è sempre stato così. La piccola malizia fa parte del mestiere, a tal punto che il giocatore troppo ingenuo spesso viene rimproverato dagli stessi compagni di squadra: “Ma perché hai fatto di tutto per rimanere in piedi in area! Il fallo lo avevi ricevuto!”.
Intendiamoci, il discorso è generale e riguarda qualsiasi squadra. Qui si tratta di Lazio e Inter ma lo stesso si sarebbe detto di qualsiasi squadra, o se i fatti all’Olimpico si fossero svolti a parti invertite. E la reazione dei beffati, sarebbe stata analoga. Io dico solo che mi pare un paradosso pretendere un comportamento etico, completamente rispettoso del fairplay, nello stesso campo di calcio dove convenevoli ce ne sono davvero pochi.
Se vogliamo, per rendercene conto, possiamo dare un’occhiata alla stessa partita Lazio-Inter. Che l’Inter affronta bene, gestisce con personalità, e governa fino al vantaggio che arriva su calcio di rigore. Un rigore nel quale Barella e il suo avversario Hysaj vanno, contemporaneamente, sulla stessa palla: Barella arriva un attimo prima e Hysaj calcia il vuoto, sfiorando la pianta del piede di Barella, in maniera certamente superficiale. Barella sente il tocco, che può essere fallo, e allora non prova nemmeno a stare in piedi. Anzi trascina la gamba di appoggio per finire a terra.
Attenzione, sottolineo nuovamente: nessuna critica a Barella. Qualsiasi giocatore avrebbe fatto lo stesso, e nel caso non l’avesse fatto, si sarebbe poi scontrato col rimbrotto dei compagni, “Però se ci fanno fallo, prendiamocelo sto rigore!”. Bene. Ma dove si trova il fairplay in questo caso?
Non si sfrutta una gaffe dell’avversario che non vuole certo fare fallo e che forse non arreca nemmeno danno, per ottenere il massimo vantaggio? Così fan tutti, fa parte dell’ordine delle cose, ma il fairplay è un’altra cosa.
Avete mai visto un giocatore non protestare per un tocco di mano avversario? Anche nel caso di braccio steso lungo il corpo, di atteggiamento privo di colpe, di gesto assolutamente involontario e congruo al movimento del corpo? Rispondo io: MAI. Si vuole sempre il rigore, si cerca sempre di convincere l’arbitro. Si prova a ricavare un vantaggio da qualsiasi situazione favorevole.
Lazio Inter: il rigore
Diamo un’occhiata al rigore concesso alla Lazio: saltano insieme Patric e Bastoni. Arriva sul pallone Patric ma il suo colpo di testa finirebbe fuori dallo specchio della porta, senza pericoli per l’Inter. Ma batte su un braccio di Bastoni allargato dal gesto del corpo in elevazione. Normale. Mai malizioso. Mai scientifico. Eppure Patric urla e chiede subito l’intervento dell’arbitro, e lo stesso fanno i suoi compagni… fairplay?… Stanno chiedendo qualcosa di sacrosanto? Si chiedono davvero se il rigore sia giusto o meno? Ma quando mai: stanno cercando di riportare il punteggio in parità.
Infine l’episodio chiave, quello delle grandi polemiche. Dimarco spinge in attacco e si scontra con Leiva: secondo me subisce anche fallo, ma la palla finisce a Lautaro e l’Inter è in superiorità numerica, potrebbe far gol! Quindi che l’arbitro non abbia visto il fallo o abbia applicato la regola del vantaggio, l’Inter continua a giocare e arriva alla conclusione. Che Lautaro spreca, passando il pallone a Reina.
Lautaro forse nemmeno lo aveva visto il suo compagno a terra, ma nemmeno i suoi compagni gli hanno consigliato di fermarsi, e ci mancherebbe! Quello di Dimarco è stato un normale scontro di gioco, e l’Inter vuole legittimamente sfruttare l’occasione propizia. Come Reina, che pèara e rimette il pallone con le mani nella zona di Felipe Anderson rimasto senza avversario diretto.
Certo, al campetto con gli amici, se i nostri avversari approfittano di un momento di difficoltà per speculare, ci arrabbiamo parecchio. Ma davvero ci si può stupire se accade in un campionato professionistico?
Nel basket americano, se un giocatore scivola, gli altri vanno a concludere giocando 5 contro 4, regolarmente, e nessuno si lamenta. Nel padel, sport del momento, lo smash funziona meglio se finisce addosso all’avversario, e chi viene colpito non vuole farsi giustizia da solo. Eppure la caccia a Felipe Anderson dopo il gol, da parte dei giocatori dell’Inter, sottolinea la pretesa di un comportamento avversario a tutela dei propri interessi… mah…
Tensione alle stelle, con Dumfries tra i più nervosi e tra gli ammoniti. Così, quando successivamente difende palla dall’attacco di Marusic e allarga il braccio, forse sfiorando il viso del terzino laziale, Marusic crolla a terra e si copre il viso, evidentemente sperando in una sanzione da parte dell’arbitro. Faiplay?!?
Se vogliamo credere alle favole, ok, altrimenti cambiamo tema. Nel calcio non esiste, e l’epilogo della storia sta lì a dimostrarlo.
Alla fine vince la Lazio e come succede al campetto, dove sarebbe naturale aspettarsi atteggiamenti ispirati ad amicizia e socialità, Luiz Felipe salta sulle spalle del Tucu Correa, suo migliore amico ai tempi della lazio, cioè fino a due mesi fa. Una presa in giro tra amici, come dire “Pensavi di vincere tu, invece hai perso!”. Ma Correa è nervoso, si sente aggredito alle spalle e reagisce. Fisicamente e poi con lo sguardo, che non riconosce l’amico. Era l’unico, in effetti, che poteva cogliere in quel clima l’atteggiamento bonario. Invece ha contribuito a innescare il nuovo parapiglia, accenni di rissa, con Luiz Felipe espulso e poi scoppiato in lacrime come il bimbo tenero messo in castigo in maniera troppo severa… Solo tensioni, non conta l’amicizia, meno che mai la presunzione di buona fede.
Fairplay? Dai, su, non scherziamo…
Stefano De Grandis, Secondo DEG