Ad oggi, “Calcio is back” si è rivelato uno slogan completamente vuoto. Lo ammettono i vertici del movimento nostrano, che nella giornata di ieri sono stati protagonisti di interviste che hanno fatto molto rumore. Il presidente della Lega Serie A, Lorenzo Casini, è stato ospite Radio Anch’io Sport su Radio 1, che si è soffermato sulle offerte monstre che stanno privando il nostro principale campionato di tanti protagonisti importanti: “Offerte così importanti mostrano un interesse verso i giocatori della Serie A, però è indubbio che possono portare a fenomeni di doping finanziario. […] Preoccupato? Relativamente, anche perché si va a cicli e quest’anno i risultati delle italiane in Europa sono stati molto positivi. Probabilmente è il momento di ragionare su forme di salary cap più sofisticate, simili a quelle adottate negli Stati Uniti per le leghe professionistiche. Però serve l’Uefa per questo, non può farlo una Lega da solo”.
A proposito di diritti TV, poi Casini ha ammesso che la prima fase sia stata deludente con un’offerta molto più bassa (meno di 600 milioni annui) rispetto al minimo che ci si attendeva (1,15 miliardi di euro annui). “La prima fase si è chiusa con una fisiologica offerta bassa da parte degli operatori, che ora hanno aderito alla fase di trattativa privata di questa settimana ed è lì che capiremo se si riuscirà a chiudere a un prezzo che poi le squadre riterranno conveniente o no. Se non dovesse chiudersi, si aprirà una fase ulteriore di apertura delle offerte arrivate sul canale della Legea con un’ulteriore fase di negoziazione. Sotto il miliardo a stagione? Non ho la palla di vetro, speriamo sia più alta possibile”.
“Ci eravamo illusi”: ma di chi è la colpa?
Insomma, le prospettive non sono delle migliori e a confermarlo è anche il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, che a margine del Consiglio Federale ha confermato: “Tutti pensavamo, forse ci eravamo un po’ illusi, che i risultati delle squadre italiane avrebbero dato un appeal. Ma la domanda che ci dobbiamo porre sul made in Italy, che l’Italia ha perché ha una forza scolpita nella storia, è se sia giusta la qualità del prodotto che noi offriamo. Su questo probabilmente dobbiamo fare una riflessione su un progetto molto più ampio e complesso”. “Noi viviamo all’80% sulle revenue collegate ai diritti”, ha ricordato il numero uno federale, che negli ultimi anni ha sempre invitato il calcio nostrano a contenere i costi, piuttosto che concentrarsi sull’aumento dei ricavi.
La situazione è insomma critica e sui diritti TV si tratta di una vera e propria Caporetto. Per mesi ci hanno raccontato che la Serie A fosse vicina a “prendere” la Premier League, grazie ai risultati ottenuti nelle coppe europee e per via del fatto che negli ultimi 4 anni hanno vinto il tricolore 4 club diversi (con questo assunto la Bundesliga, Liga Spagnola e lo stesso campionato inglese dovrebbero essere sull’orlo del fallimento, visto che tranne qualche eccezione, vincono sempre le stesse). La realtà è che mai come in questo momento il calcio italiano non attira investitori e non avendo le risorse per competere ad alti livelli, non può permettersi nemmeno i campioni.
Non solo la Premier, c’è anche l’insidia araba
L’escalation araba non fa altro che acuire questa crisi, con il calcio italiano che tra l’altro ha perso di credibilità nell’ultima stagione con una squadra penalizzata a competizione in corso e con la conseguenza di una competizione completamente falsata. Con questi presupposti, chi dall’estero dovrebbe essere attirato a dare denari freschi a questo movimento? Da quando è al governo della FIGC Gravina continua a parlare di riforme dei campionati che puntualmente vengono rimandate di anno in anno, perché alla fine a prevalere è sempre lo status quo.
Per di più, il calcio italiano si appresta ad iniziare una stagione con la squadra che di più ha investito soldi veri negli ultimi anni in una situazione di debolezza, ovvero la Juventus, con il suo sterminato bacino di utenza “incarognito” contro le istituzioni e desideroso di proseguire sulla via di disdette e boicottaggio. Iniziative che, per quanto qualcuno abbia provato a sminuire, purtroppo hanno avuto effetti devastanti per il calcio italiano, con 1,5 milioni di telespettatori persi tra gennaio e maggio dal main broadcaster. La cosa che fa più male, da osservatori, è che i protagonisti di questa situazione degradante e degradata, ne parlino come se loro non fossero i diretti interessati, come se i risultati negativi siano piovuti dal cielo e le loro decisioni non possono essere messe in discussione, né oggetto di addebiti. La mancanza di cultura sportiva e spirito critico sono in questo momento la peggiore delle pecche di una delle più importanti industrie della nazione Italia, che se vorrà davvero invertire la rotta dovrà rinnovare totalmente la classe dirigente, puntando sul merito e non sul peso politico. Altrimenti, inutile lamentarsi quando non si partecipa a due Mondiali di seguito o se per fare i nuovi stadi sia necessario attendere l’assegnazione degli Europei del 2032.