Nei giorni scorsi ha perso la vita un capo ultrà dell’Inter. Un altro dopo l’episodio del 2022. Eppure non stiamo leggendo la stessa indignazione e non stiamo ascoltando i megafoni che urlavano forte ai tempi dell’inchiesta Last Banner in cui, tra l’altro, la Juventus era parte lesa poiché aveva denunciato i ricatti. Al solito l’Italia è il Paese dei garantisti a targhe alterne e ora possiamo leggere mille scuse per non parlare di ciò che continua ad accadere da anni in altre curve lontane da quella bianconera.
“Sì ma i capi ultrà si sono affrontati lontano dallo stadio”, “se anche controllano tutte le attività commerciali intorno alla stadio cosa c’entra la società”, “se 8-10 capi-bastone sgomberano un’intera curva che c’entra la dirigenza”, “c’è un morto abbiate rispetto. Urge ricordare agli smemorati che tutte questi ragionamento non sono mai valsi nel caso della Juventus, poiché, per esempio, anche allora ci fu un morto, ma nessuno si fece problemi a spiattellarlo in prima pagina e addirittura a costruire servizi televisivi su un decesso che ancora rimane avvolto da un alone di mistero (qui, invece, c’è una vera e propria faida tra capi-bastone).
Il rispetto per i morti oggi, ma ieri?
Non possiamo poi non ricordare a chi ha la memoria selettiva, che i dirigenti che nulla sanno e nulla vedono, sono gli stessi che accompagnano magari un nuovo acquisto proveniente dalla Juventus, dagli stessi “capi” per subire una sorta di lavaggio del cervello con argomenti come valori, onestà e altre tante belle parole vuote. Il “non poteva non sapere nel caso della Juventus”, quando si tratta di altri inevitabilmente diventa “sicuramente non ne sapevano nulla”. Chissà come mai…
Ai tempi dell’inchiesta Last Banner, addirittura vi fu un’audizione in commissione antimafia durante la quale l’allora capo della Procura Federale inventò di sana pianta un’intercettazione. Oggi, curiosamente, anche la politica tace, non c’è nessuno da convocare né da ascoltare. Sicuramente la giustizia farà il suo corso e gli inquirenti ci diranno presto o tardi come mai in determinate curve ci sono ancora fenomeni arcaici di controllo totale con la regia della malavita organizzata, mentre chi ha letteralmente fatto pulizia vie ormai additato di essere “ndranghetista”.
Quando il tifo acceca anche gli addetti ai lavori
Da sempre, i tifosi e anche gli addetti ai lavori cercano di tirare l’acqua al proprio mulino, ma in realtà a nessuno interessa la regolarità delle competizioni né la giustizia in sé e per sé. Chi scrive è inevitabilmente tifoso oltre che giornalista è non è qui a chiedere un’assoluzione per la squadra che supporta e la condanna di quella nemica. Semplicemente si chiede parità di trattamento, davanti alla legge e nell’esporre i fatti. Non è possibile che gli stessi episodi diventino a targhe alterne prova di collusione e casi sparsi che nulla hanno a che vedere con il calcio. Anche perché, se andate bene a vedere, si potrebbe anche trovare un filo conduttore tra alcuni episodi avvenuti in passato a Torino e altri accaduti negli ultimi anni a Milano.
Si resta dunque qui, fiduciosi che qualcosa cambi a livello culturale nel nostro Paese, ma sono bastati pochi giorni per capire che alcuni colleghi abbiano il bavaglio. Alcuni chiaramente per tifo, altri per linea editoriale imposta dall’alto, da una fitta rete di poteri che sono uno dei mali endemici dell’Italia. Io speriamo che me la cavo (cit).