La nazionale italiana sta ripartendo. Dalle macerie. Sì, perché al di là di quello che ci raccontava qualche buontempone, con la vittoria degli Europei il calcio italiano non ha costruito un bel niente. È stata una vittoria estemporanea, casuale, seppur meritatissima, per carità. È andato tutto per il verso giusto in quel mese in cui Roberto Mancini e il suo staff hanno compiuto un vero e proprio capolavoro, superando però un turno ai supplementari e grazie ad una decisione della Var, e due ai calci di rigore. Che fosse un fuoco fatuo, l’ho scritto sin dal giorno dopo la vittoria di Wembley, mentre altri preferivano raccontare di un calcio italiano rinato grazie al bel gioco e ad una proposta sempre più europea.
La decadenza del calcio italiano
I risultati delle squadre italiane nelle coppe europee che contano (complimenti comunque alla Roma per la conquista della Conference League) prima di tutto hanno confermato che il campionato italiano non può competere con le altre big del Continente che fatturano molto di più e possono permettersi i giocatori più forti. Complimenti a Pioli, per lo scudetto, ma il Milan “spettacolare” arriva ultimo nel suo girone di Champions dietro Liverpool, Porto e l’Atletico Madrid peggiore dell’ultimo decennio. L’altra conferma dell’unicità dell’impresa di Wembley sono i risultati della nazionale di Mancini post Europeo, con la seconda mancata qualificazione consecutiva ai campionati del Mondo.
Inutile citare i rigori sbagliati, la sfortuna, le assenze: l’Italia non si è qualificata contro nazionali, con tutto il rispetto improponibili come Irlanda del Nord, Bulgaria e Macedonia del Nord. Un disastro al quale ora si sta tentando di porre rimedio ringiovanendo unilateralmente la rosa. Giusto così, visto che diversi elementi erano ormai logori e privi di motivazioni, ma ora non bisogna fare il solito errore che commettiamo noi italiani: celebrare come i nuovi Messi e Ronaldo ragazzi che realizzano un assist, e sottolineo un assist, in una gara seppur importante.
Con i giovani ci vuole equilibrio
La storia del calcio italiano è piena di giovani calciatori che nell’Under 21 azzurra sembravano letteralmente dei fenomeni e poi hanno avuto carriere mediocri, sparendo sostanzialmente dal giro che conta. Nel calcio, come nella vita, ci vuole equilibrio e i giovani vanno lanciati sì, ma al contempo difesi e aspettati. Perché il gioco è ormai consolidato: esaltiamo Gnonto e compagnia alla prima giocata positiva, ma con la stessa velocità poi li bolliamo come dei brocchi se non si confermano la partita successiva. In questo ha ragione da vendere Roberto Mancini: il percorso è ancora lungo ed è appena iniziato. Dove ci porterà nessuno può saperlo, ma la speranza è che prima o poi tra tutti i giovani lanciati vengano fuori i nuovi Pirlo, Del Piero, Totti, Vieri, Cannavaro, Nesta, Buffon… Quelli che insomma ti fanno vincere le partite e sono in grado i competere a altissimi livelli, quando la palla tra i piedi scotta e serve personalità.
Ovviamente, la nazionale non basterà per far salire il loro livello. Ci dovranno pensare anche le loro squadre di club, ma chi gioca in Italia è penalizzato. La Serie A è ormai un campionato di passaggio, nel quale i campioni che nascono cercano lidi migliori e più remunerativi, mentre al massimo possiamo permetterci i top class ma solo a fine carriera. Non siamo più il calcio europeo di riferimento e i giovani, non confrontandosi con quelli più bravi in allenamento e in partita, non riescono ad alzare il loro livello. Servirebbe un nuovo corso serio, non i playoff da tempo paventati, una rinascita totale che parta dalle strutture dai settori giovanili. Abbiamo stadi che cadono pezzi, non possiamo pensare di competere con queste basi.