Da diversi anni sentiamo parlare di riforma dei campionati di calcio, con il presidente della Figc Gabriele Gravina a farsene promotore sin dalla suo primissimo giorno in federazione, ma in realtà senza che vi sia stato fin qui nulla di concreto. Dal 2018 ad oggi è stato una sorta di refrain da parte del numero uno federale: “la riforma non può più attendere”, “riforme dei campionati in tempi rapidissimi”, “riforme, è ora di uscire dall’arroccamento”, “riforme dei campionati, sarà rivoluzione”, e tante altre frasi sullo stesso tenore. Per carica, la Federcalcio si trova di fronte ad una situazione a dir poco anomala, con i club divisi e quelli attualmente sulla cresta dell’onda arroccati effettivamente per il mantenimento dello status quo.
La favoletta sulle vincitrici dello scudetto
Detto questo, non mi sembra che ci sia la volontà di andare fino in fondo né tantomeno la forza. Negli ultimi giorni abbiamo appreso la volontà da parte di Gravina di dare l’accelerata decisiva nel 2024, proponendo una riforma del format della Serie A che non va però nella direzione in cui dovrebbe. Nelle ultime stagioni, checché ci racconti qualcuno, il nostro massimo campionato è andato perdendo qualità e appeal. No, il fatto che negli ultimi quattro anni abbiano vinto il titolo altrettante squadre diverse non è sintomo di accresciuto prestigio della Serie A. Altrimenti, in Premier League, in Bundesliga e in Liga, in cui sostanzialmente vincono sempre le stesse, dovrebbero essere in crisi nera, invece ci danno delle piste…
Obbligatorio ridurre il numero delle squadre
Non può essere di certo un caso che si sia fatta una fatica immane a vendere i diritti televisivi ad un costo più basso e per un periodo più lungo (cinque e non più tre anni). I campioni giocano prevalentemente in Inghilterra, mentre anche l’Arabia ha dimostrato di poter saccheggiare in qualsiasi momento i club nostrani a suon di petroldollari. Un “palazzo” attento a queste dinamiche, ridurrebbe immediatamente il numero delle squadre in Serie A e B, scendendo da 20 a 18, in modo da innalzare la qualità del prodotto. Al contrario, la proposta, stando a quanto riferiscono media bene informati, sarebbe quella di diminuire le retrocessioni da tre a due, o nella migliore delle ipotesi di far retrocedere direttamente due squadre dalla serie A alla B, mentre la terza retrocessione sarebbe decisa da uno spareggio tra la terzultima della massima serie e la terza della cadetteria.
Più partite, prodotto più scadente
Una cosa senza senso a mio modesto parere, che trasformerebbe la Serie A in un campionato ancora più chiuso, una sorta di Superlega italiana, con ulteriore abbassamento della competitività e anche delle motivazioni di alcune squadre nella parte finale dei tornei. Il modello che attualmente va per la maggiore è quello della Premier League, che a sua volta ha mutuato dal nostro calcio, quando lo stesso dominava in lungo e in largo tra gli anni 80’-90’-2000. Invece, noi proviamo a copiare campionati di “seconda fascia”, in cui fanno di tutto per allungare il brodo della stagione con spareggi, playoff, playout e quant’altro.
L’unico risultato, in questi casi, è quello di aumentare il numero delle partite per le televisioni, facendo contestualmente abbassare però l’interesse dei tifosi. Il calcio italiano ha bisogno di una rivoluzione strutturale e culturale, che parta dai settori giovanili e dalle strutture, per poi arrivare a tutto il resto. Questa generazione dirigenziale calcistica, però, non sembra avere la lungimiranza sufficiente e non è nemmeno supportata da una classe politica in grado di far loro invertire la rotta. Il risultato è che stati obsoleti come San Siro perdono i pezzi e siamo già in ritardo nell’organizzazione degli Europei del 2032, per giunta in coabitazione con un’altra nazione.