Con il sorteggio del calendario prende ufficialmente il via la stagione 2024-2025 della Serie A. sì, ma con quali presupposti? Nelle passate settimane abbiamo sentito parlare solo di pirateria (per carità, problema serio, che però esiste in tutto il mondo), come se il calcio italiano non abbia altre criticità. E lo abbiamo visto anche agli Europei effettivamente: il nostro prodotto è di un valore talmente alto da aver fatto una pessima figura, l’ennesima dopo due Mondiali non disputati e un Europeo vinto a sorpresa come fecero del resto anche Danimarca e Grecia.
La Serie A e il calcio italiano in generale sono guidati da gente miope rispetto all’evolversi della società e della stessa industria. Ancora una volta si punterà sullo spezzatino, realizzato per due motivi su tutti: evitare di intasare i server dei broadcaster con troppe partite contemporanee e portare gli appassionati a guardare più partite possibile, visto che gli ascolti piangono miseria. È così che si aumenta il valore del prodotto calcio italiano e dei brand? È un caso se per la prima volta nella sua storia, il brand italiano più conosciuto al mondo tramite i social network, ovvero la Juventus, non ha uno sponsor di maglia?
Più partite in TV, sempre meno appeal
Tutti puntano il dito, ma nessuno riflette seriamente oppure preferisce semplicemente non farlo per mantenere lo status quo. Da un bel po’ di anni sentiamo parlare di riforma dei campionati, ma nessuno ci ha mai messo realmente mano. Ci sono leggi dell’economia molto semplici, che capirebbe anche un bambino. Oggi si pensa solo ad aumentare il numero delle partite e degli slot orari nella speranza che aumentino gli ascoltatori. In realtà, più partite vengono trasmesse, più si abbassa la qualità del prodotto e meno le persone sono invogliate a guardarle.
La prima mossa di una gestione seria del calcio dovrebbe dunque partire da una diminuzione del numero delle partite e di conseguenza dei club. La Serie A dovrebbe essere composta al massimo da 18 squadre, così come la Serie B. È questa la via maestra se si vuole far salire contemporaneamente il livello tecnico e tattico del calcio italiano e anche l’appeal nazionale e internazionale in termini di diritti TV e di immagine. Inoltre, ci dovrebbero essere regole certe per tutti e su di esse dovrebbero vigilare organismi esterni. Invece, la giustizia sportiva è gestita quasi a livello “familiare” con delle norme sostanzialmente vuote che vengono riempite di volta in volta a seconda dei casi.
Le regole non valgono per tutti
È così, dunque, che chi adotta un “sistema di plusvalenze” che arriva fino al 90% del fatturato, venga sanzionato semplicemente con una multa, mentre chi ne genera solamente per il 4% viene addirittura penalizzato in punti e senza poter partecipare alle competizioni europee. Oppure, un foglio A4 scritto a penna valga più di un’ammissione pubblica davanti alle telecamere di tutto il mondo: “Abbiamo fatto plusvalenze con quel club perché avevano bisogno e dovevamo aiutarli”. Quale investitore straniero serio accetterebbe di mettere il suo denaro in una gestione di questo tipo?
Non può essere un caso, infatti, che le proprietà straniere fin qui viste in Italia siano stati per lo più “prenditori” e non “imprenditori”. Arrivano, non ripianano un euro di debiti, mettono a bilancio sponsor mai esistiti, cedono quote e poi se le riprendono senza alcuna comunicazione ufficiale e alla fine scappano persino con i soldi. Addirittura, alcuni arrivano a contrarre prestiti personali, dando in pegno le quote dei club che gestiscono e una volta pignorati fanno passare la cosa come una normale cessione del club. Spiace, ma non siamo credibili a livello gestionale e ovviamente poi non lo siamo nemmeno a livello esecutivo.
Si riparte dunque dagli stessi stadi, per la maggior parte fatiscenti, e anche con lo stesso caos VAR, con regole già incerte e per giunta interpretate di volta in volta a piacimento (l’ultima stagione è stata letteralmente un disastro in questo senso). Si fa sempre il tifo affinché qualcosa cambi, ma i presupposti sono quelli di un’altra stagione di lacrime e polemiche.