Inutile girarci attorno, è uno stillicidio. Da inizio stagione solo in serie A sono saltati diversi crociati e se si estende l’attenzione anche agli altri campionati del Continente e ai tornei giovanili il dato è sempre più preoccupante. Negli ultimi giorni sono incappati in questo tipo di infortuni gli juventini Bremer e Stivanello (Under 23), Zapata e Carvajal, ma sono già alcune decine i protagonisti persi dai rispettivi club a inizio stagione. Inevitabile interrogarsi, anche se alle istituzioni calcistiche questi dati non sembrano interessare più di tanto, visto che si lavora sempre e solo per aumentare il numero di partite.
Un calciatore arriva a giocare fino a 70 partite l’anno
Ed è proprio da qui che dobbiamo partire, anche se non è la sola variabile da tenere in considerazione. La maggior parte degli infortuni in generale si verifica durante le partite, di conseguenza aumentare il numero delle gare non fa altro che accrescere il rischio infortuni. Agli atleti si chiedono sempre più sforzi nbell’arco di una stagione e ormai si è arrivati a giocare circa 60-70 partite, numero che qualche decennio fa un atleta disputava in circa tre anni. Ritmi eccessivi per un fisico prestante, figurarsi per giovani e anche calcio femminile.
Eh sì, perché i dati degli infortuni gravi sono in pauroso aumento soprattutto tra le donne e i giovani atleti. Addirittura, negli ultimi 10 anni le rotture di crociato sono aumentate nelle categorie giovanili di oltre il 140%. È vero che il calcio è cambiato e si è evoluto, ma proprio per questo si chiedono sempre maggiori sforzi a strutture che per questi sforzi non sono predisposte. Basti pensare ai tanti infortuni gravi dei giovani della Cantera del Barcellona che passano in prima squadra già a 16 anni, costretti a sostenere allenamenti “da grandi” nonostante non abbiano ancora un fisico definitivamente sviluppato.
Si gioca di più e ci si infortuna inevitabilmente di più, perché le gare sono ravvicinate tra di loro e spesso non si riesce a preparasi adeguatamente. Un club di primissima fascia, infatti, tra campionato, coppe nazionali e competizioni europee arriva spesso a giocare 2-3 partite in 7 giorni, alternando nelle sedute solo scarico e rifinitura, senza poter calendarizzare l’alternanza di resistenza, forza ed elasticità.
Super atleti con muscoli sempre più sviuppati
Come però sottolinea all’Adnkronos Salute Alberto Momoli, chirurgo e presidente della Siot, la Società italiana Ortopedia e Traumatologia, “il calcio è cambiato e oggi si arrivati ad un ‘mix’ di velocità e potenza che sollecita in modo intenso le articolazioni, soprattutto il ginocchio“. Ecco, proprio i ritmi superiori del calcio moderno, hanno trasformato i giocatori in veri e propri super-atleti, spesso dotati di una massa muscolare imponente. “Se nel gesto del tiro la struttura più sollecitata è la caviglia – spiega ancora il dottor Momoli – nelle cadute dopo un colpo di testa è il ginocchio come è sempre questa struttura ad essere molto sollecitata quando si corre e si devia dall’asse in questo caso gli elementi stabilizzatori (il crociato, il menisco e il collaterale) sono molto sollecitati e le masse muscolari molto sviluppate che hanno oggi i calciatori producono una tensione elevata. Se uno corre, frena e cerca di girarsi, ecco che può accadere che il crociato sottoposto a questo eccesso di tensione si rompa“.
E questo si verifica ancora di più se ad avere masse muscolari molto sviluppate sono ragazzini o donne. Non a caso si dice che negli ultimi anni il calcio femminile sia cresciuto tanto: sono inevitabilmente stati applicati modelli di lavoro maschili al loro mondo, ma le strutture fisiche sono le stesse? Insomma, il fenomeno merita una riflessione seria, perché siamo tutti felici nel vedere il debutto di un 16enne in prima squadra, ma poi nessuno si preoccupa se dopo una sola stagione tra i grandi a un 17enne salta il crociato. Le associazioni dei calciatori stanno provando a lanciare l’allarme da diverso tempo, ma sembra che il grido al momento sia inascoltato. Andando di questo passo, i numeri sono destinati ulteriormente a salire e non si tiene conto che prima di tutto gli atleti sono esseri umani e che spesso la loro carriera dura solamente pochi anni (dopodiché bisogna reinventarsi in altri ruoli). Urge un’opera di sensibilizzazione a tutti i livelli: dai calciatori ai club, passando per gli altri loro tesserati come tecnici, preparatori atletici e staff in generale.